Egidio Dabbeni

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Brescia 27 febbraio 1873 - 2 giugno 1964

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​​​Architetto e ingegnere

L'immagine della Brescia storica porta indelebile il segno della sua visione estetica e urbanistica. Egidio Dabbeni è infatti figura centrale ed indiscussa dell'architettura bresciana del Novecento, ha lasciato una forte impronta personale sul volto della nostra città grazie al cospicuo numero di edifici disegnati nel corso di un'attività professionale che dall'ultimo decennio dell'Ottocento si è protratta fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Era nato a Fiumicello, oggi frazione della città e allora comune autonomo, da una famiglia di artigiani, il padre era falegname. Dimostrò vivace intelligenza e intraprendenza fin da piccolo e riuscì a laurearsi prima in ingegneria a Padova e, in seguito, in architettura a Roma. Vincitore nel 1897 del Premio Brozzoni, iniziò in quegli stessi anni a realizzare i primi progetti. Insieme alle competenze tecniche che gli venivano dagli studi ingegneristici tradotti in una forte spinta innovativa, unì un gusto decorativo improntato al modernismo e alle forme dell'Art Nouveau. Ne dette prova precoce, tra il 1895 e il 1898, nel Palazzo Migliorati di via Trento, residenza civile a 4 piani dove utilizzò, tra i primi in Italia, il cemento armato per la struttura e dispose tra le finestre del piano più elevato una fascia ornamentale con motivi floreali. Richiamò interesse e ampio consenso nel 1904, progettando e seguendo i lavori degli stand per l'Esposizione bresciana, che si guadagnarono fama nazionale.
Da ingegnere, progettò infrastrutture stradali e ferroviarie, canali navigabili e impianti industriali; da architetto, si confrontò con la tradizione nei modi di un eclettismo ricco di citazioni classiche, accogliendo gli stimoli della modernità.
La grande notorietà, conquistata con la realizzazione degli edifici effimeri che ospitarono l'Esposizione del 1904 in Castello, comportò subito una crescente mole di progetti commissionati soprattutto dagli esponenti della grande borghesia imprenditoriale bresciana. Tra le sue opere principali vanno segnalati i Palazzi Pisa di corso Magenta e via Solferino, il Palazzo Togni di via Dante e quello di via Vittorio Emanuele II, che è considerato il suo capolavoro, il Palazzo Beretta di corso Palestro e la villa di Gardone Val Trompia. Ma Brescia gli deve anche il palazzo Capretti di via Gramsci, la sede della Società Elettrica Bresciana in via Leonardo da Vinci, la fabbrica Wührer alla Bornata, la chiesa della Pavoniana, la sede della Banca San Paolo in corso Martiri della Libertà, Palazzo Bertolotti in viale Venezia, l'Hotel Vittoria, le Cantine Folonari e numerose ville private. Tra i progetti industriali, vanno certamente annoverate le centrali elettriche Redaelli di Brozzo, Beretta di Inzino, Tassara di Breno, e la centrale di Cedegolo, oggi pregiato esempio di archeologia industriale.
La sua fama, già grande nella nostra provincia, ebbe un momento di attenzione internazionale quando, nel 1938, Egidio Dabbeni vinse il concorso per la costruzione dello stadio di Bordeaux, in Francia. Tra i suoi progetti di ingegneria, rimasti irrealizzati, va segnalato anche lo studio, che gli fu commissionato dall'industriale Giulio Togni, per il canale navigabile pedemontano Bergamo-Brescia-Mincio-Po.
Socio dell'Ateneo di Brescia, fu anche membro importante di numerose commissioni di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico fra Brescia, Bergamo e Cremona.
Dabbeni fu capace di mantenere la sua autonomia morale anche durante il Fascismo. Quando morì all'età di 91 anni, nel 1964, il sindaco di Brescia Bruno Boni lo commemorò con queste parole: «Noi lo ricordiamo come uomo dall'ampio orizzonte intellettuale, curioso di ogni progresso scientifico, affascinato dall'indagine in ogni settore, al di là della propria attività professionale. Noi lo ricordiamo come uomo all'antica, integro come pochi, inflessibile con se stesso e con gli altri in omaggio ad un superiore ideale di onestà e giustizia». 

Ultimo aggiornamento

29/10/2019, 11:32